Ho visto navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto Sommi Poeti accentare la terza persona singolare dell’indicativo presente di “sapere” e “fare”. Ho visto un branco di Nobili Anime Poetiche, infoiato dall’odore del sangue, accanirsi ad azzannare prede battendosi pacche di congratulazione sulle spalle per darsi una identità e credersi qualcuno. Ho visto membri di un Cenacolo di Fini Dicitori maltrattare senza pietà ortografia, grammatica e sintassi. Ho visto i raggi B balenare nel buio davanti alle porte di Tannhauser. E mentre pensavo che tutti questi momenti sarebbero andati perduti per sempre come lacrime nella pioggia, mi sono guardato attorno.
Il tetto era pieno di gente, le gru dei cantieri accanto anche. Cassintegrati, disoccupati, precari di ogni età, razza e colore, su tutti i tetti, a perdita d’occhio. Gente che si sbatte la vita con le unghie e ha da pensare a cose più serie dei miei monologhi, e dei divini poeti. Avevano le facce dure, tirate. Io volevo solo sdrammatizzare e dare un messaggio di incoraggiamento. “Coraggio, non buttiamoci giù!”, dico. Inizio a pentirmene appena finita la frase, quando li vedo avvicinarsi con fare minaccioso. Dire “Non buttiamoci giù!” ** a gente incazzata sopra un tetto non è una buona idea, in effetti. Non era mia intenzione, ma suona ambiguo e anche un poco canzonatorio. E mentre mi lanciano giù dal tetto e sfreccio verso l’asfalto, penso che è tempo di morire. Chissà se qualcuno mi scriverà almeno una piccola ode. Nessuno, credo. Ho sbagliato tutto, dovevo diventare poeta. Mi sveglio poco prima dello schianto.
** Ho preso a prestito un titolo di Nick Hornby, o meglio del traduttore del suo libro. Il titolo originale è “Long Way Down”, ma in italiano il gioco di parole non è male.
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