sabato 24 novembre 2012
Girls On Film
L’appetito vien mangiando,
dicono. Era andata bene con le riviste, perché non proseguire con l’escalation.
Dopo non tanto tempo chiuse, lo sventrarono e ora ci sono miniappartamenti e
uffici, credo, ma allora c’era un cinema. Programmazione varia, un po’ di
tutto. Il primo vietato ai minori di quattordici lo vedemmo lì, anche se forse
ne avevo ancora tredici. C’era mezza scuola quel sabato pomeriggio a vedere
Quaranta gradi all’ombra del lenzuolo. A proposito, meglio tardi che mai,
grazie di cuore a Barbara e Edwige e a tutte le altre. Ma il soft non bastava
più, non bastavano docce e strip. E nel frattempo la programmazione del cinema virava
sempre più verso l’hard, già era diventato un rito allungare il ritorno da
scuola per andare a guardare i cartelloni esposti. Un pomeriggio d’autunno, di
quelli quando fa buio in pratica subito dopo mangiato, ormoni galoppanti e film
in programmazione si mescolano in un cocktail micidiale. Qualcosa che aveva a
che fare con carceri e piacere e detenute, vietato ai minori di diciotto anni.
Partiamo. Dieci minuti a piedi da casa e siamo davanti al cinema, con
adrenalina e pulsazioni in ascesa verticale. Già l’ingresso è spassoso, in
fila, sembriamo dieci piccoli indiani anche se siamo cinque. Chi capeggia la
fila e dovrà andare a chiedere i biglietti è inutile che ve lo dica, credo. Mi
impettisco, cerco di sembrare il più alto possibile e di parlare con la voce
più bassa possibile, mi dirigo alla biglietteria e con fare disinvolto chiedo
cinque biglietti per la galleria. Dentro la biglietteria ci sono due tipi e uno
dei due mi chiede quanti anni ho e se ho un documento. Io non solo non avevo
frequentato molto il catechismo quindi ero abbastanza a digiuno di comandamenti,
mentivo e desideravo la donna d’altri (qualunque donna in quel periodo, ad
essere obiettivi), ma per entrare in quel cinema avrei detto anche che ero il
nipote di Mubarak. Con nonchalance rispondo diciotto e faccio la scena di
frugarmi in tasca prima di allargare le braccia sconsolato e dire che l’ho dimenticato
a casa. Il tipo ghigna e si rivolge all’altro in dialetto con una frase del
tipo “Eh certo, diciotto, con quella barba folta che ha” seguita da doppia
sghignazzata. Avrò avuto otto peli sul mento e tre sulle guance, prendo la
frase come un segnale negativo, ero un ragazzino sveglio io. Mi giro verso gli
altri quattro piccoli indiani con fare interrogativo sul da farsi e proprio in
quel momento dalla sala proiezione esce uno spettatore. E per una frazione di
secondo, prima che la porta si richiuda, intravediamo lo schermo dove va in
onda un accoppiamento che sembra essere di buona soddisfazione per la signorina
coinvolta, a giudicare dai gemiti. L’esortazione, sempre dialettale, “Allora
ragazzi non è ora di andare a casa ? “ rompe la magia e ci teletrasporta
all’uscita più veloci della luce. Ci rituffiamo nel cupo autunno, qualcuno mi
prende per il culo perché non ho abbastanza barba, gli dico la prossima volta
ci vai tu così ti guardano e ti dicono che hai pochi peli sul culo, schivo
agilmente una manata nelle palle e mentre ci incamminiamo verso casa tutto finisce
sotto una risata omerica.
… ten years later …
Tutto comincia con una risata
omerica già all’ingresso, adesso ci muoviamo in auto e ci siamo già fatti un
discreto numero di bianchini ma null’altro è cambiato. Era un caso raro credo,
quello di un cinema specializzato in film hard, film nuovo ogni giorno, ultime
uscite, con la particolarità di essere situato proprio di fronte alla
parrocchia. Niente cartelloni esposti e nemmeno titoli, un tacito accordo dopo
una causa vinta dal cinema, mentre il parcheggio era condiviso tra devoti
frequentatori dell’uno e dell’altra, col vantaggio che nell’imbarazzante caso
di incontro con persona conosciuta si poteva giocare la carta di una improvvisa
conversione, di una impellente necessità di confessarsi, del mettersi avanti
col corso prematrimoniale anche se magari non si aveva nemmeno la ragazza. Per
tacere della eventuale possibilità di confessione immediata in caso di
cedimenti peccaminosi, bastava attraversare la strada.
“Padre, ho peccato.”
“Quante volte, figliolo?”
“Due, una nel primo tempo e una nel secondo.”
“Dieci Ave Marie e dieci Pater Noster, figliolo. Com’era il
film ?”
“Niente male, padre, ma quello dell’altro ieri era meglio.”
“Ego te absolvo, vai in pace. Domani c’è Moana.”
“Grazie, padre. Sempre sia lodata.”
Ma torniamo al cinema. Quella
sera era una occasione speciale. Un evento, il primo film porno in 3D che
davano in città. Possiamo mancare? Certo che no, presenti all’appello. Non era
pieno, era murato. C’erano tutte le compagnie della città, credo di aver
salutato più gente quella sera che in discoteca. Clima da happening, entusiasmo
alle stelle. Si spengono le luci, tutti si infilano gli occhialini e via, si
parte, titoli di testa che scorrono. Interno stanza e dallo schermo, proteso
verso le nostre teste, si materializza ed esce un mirabolante, mostruoso,
smisurato organo genitale maschile. Parte un boato da curva nord dello stadio.
Il mio vicino di posto inizia a ridere e dice “ Qua se arriva una tette al
vento è panico alle uscite di sicurezza ” e dal fondo della sala qualcuno urla
“Cazzo ma quando viene questo oltre agli occhialini ci danno anche gli ombrelli?
”, altra esplosione di sghignazzate. Penso tra me e me che probabilmente il
glorioso Ritz Erotic Movies non ha mai visto tanta ilarità nella sua onorata carriera
di serio cinema porno, capisco che sarà una lunga serata e cerco una posizione
comoda sulla poltroncina di legno.
domenica 18 novembre 2012
Ore Liete
Uno spin-off dal post precedente.
Dedicato a tutti gli adolescenti moderni nativi digitali che non hanno mai
provato l’emozione di andare in edicola a chiedere riviste sconce. Adesso è
tutto fin troppo facile, un clic su Youporn e hanno un mondo che noi nemmeno
immaginavamo sullo stesso monitor dove scopiazzano le ricerche scolastiche da
fonti inaffidabili. Per di più col sonoro, mentre per noi il porno è stato muto
per anni e per urla e gemiti dovevamo lavorare di fantasia. E la frequentazione
di siti hard tra i ragazzi deve essere una pratica molto comune, a giudicare
dalla velocità con cui compare una schermata nuova sul monitor quando entro in
camera di mio figlio.
Ma per noi era diverso. L’acquisto era pianificato
strategicamente, a partire alla scelta dell’edicola. Ce n’erano due in zona ma
quella dell’ospedale era considerata impraticabile, troppa gente, un viavai
continuo mentre il prelevamento dell’oscuro oggetto del desiderio (perdonami,
Luis) doveva essere rapido e senza testimoni. L’altra invece era perfetta.
Situata lungo una strada di traffico intenso quindi frequentata in prevalenza da
forestieri e non da residenti, ci si accedeva da un sottopassaggio e
l’edicolante era noto per non guardare troppo per il sottile sull’età degli
acquirenti, oltre ad avere come occhiali due fondi di bottiglia che, beata
ingenuità, credevamo avrebbero reso più facile giocare al rialzo sulla nostra
età in modo convincente. Suppongo sia morto e che in ogni caso il suo eventuale
reato sia prescritto, quindi pace all’anima sua e grazie. Avevo una discreta
faccia di bronzo e ero il più alto della masnada, quindi potenzialmente quello
che più poteva sembrare un diciottenne, toccava a me. Il commando era appostato
all’uscita dal sottopassaggio in attesa del momento propizio. Non c’erano
clienti, i marciapiedi nelle due direzioni erano sgombri fino a una distanza
ragionevole, l’arrivo di un’auto che si fermava era una possibilità, ma nella
vita bisogna pure correre qualche rischio.
Ecco il momento. Vai. Il resto del
gruppo aspettava sbirciando, mentre io con fare disinvolto e il cuore a mille
mi avviavo verso il lato sinistro dell’edicola. Un paradiso pudicamente
protetto da una tenda verde. Una rapida occhiata, Le Ore l’altra volta non era
granchè, OV ha una copertina niente male ma prendo Caballero. Afferro e porgo,
senza parlare. E lui coi suoi fondi di bottiglia cerca il prezzo sulla
copertina. Cazzo, lo so io il prezzo e non lo sai tu che lo vendi, ho i soldi
contati, sbrigati per la miseria. Eccolo. Lo avvolgo a cilindro sperando che
non sbuchino troppi particolari anatomici dalle parti che restano in vista, e a
passo di carica mi avvio al sottopassaggio. E’ fatta. Cerchio di ragazzini in
religioso silenzio alle mie spalle, sacerdote officiante la blasfema cerimonia del
primissimo sfoglio. Ma era solo un attimo, una rapida consultazione, sotto i
sottopassaggi passa gente, lo dice il nome. Oddio, non credo che in caso di
mancata soddisfazione avrei avuto la faccia di tolla di andarlo a cambiare. E
in ogni caso eravamo sempre soddisfatti, in molti sensi se mi si perdona la
bassissima battuta. Prima di uscire dal tunnel, il prezioso bottino finiva
sotto la maglia di qualcuno e noi ridiventavamo un innocuo gruppetto di
ragazzini, che con un segreto inconfessabile raggiungeva il garage che avevamo
adibito a sala di pornoconsultazioni.
Tutto questo durò diverso tempo. Finchè un giorno mia madre mi disse guardandomi distrattamente “ Sai che la signora tal dei tali mi ha detto che ti ha visto in edicola ? “. Gelo, dentro e fuori. Mia madre aveva sguardi indecifrabili e l’arte dell’allusione, quindi devo ancora capire se la signora si era limitata a dire di avermi visto o aveva aggiunto, Dio non voglia, che mi trovavo nell’ala peccaminosa. Non ritenni opportuno proseguire il discorso e non ho mai più avuto occasione di chiederglielo. Ma fu spunto di riflessione e autocritica. Era giusto quello che facevamo? Stavamo sbagliando? Non potevamo continuare così. Bisognava cambiare, stavamo diventando grandi. E così fu. Avevamo i motorini adesso. Cambiammo edicola.
Tutto questo durò diverso tempo. Finchè un giorno mia madre mi disse guardandomi distrattamente “ Sai che la signora tal dei tali mi ha detto che ti ha visto in edicola ? “. Gelo, dentro e fuori. Mia madre aveva sguardi indecifrabili e l’arte dell’allusione, quindi devo ancora capire se la signora si era limitata a dire di avermi visto o aveva aggiunto, Dio non voglia, che mi trovavo nell’ala peccaminosa. Non ritenni opportuno proseguire il discorso e non ho mai più avuto occasione di chiederglielo. Ma fu spunto di riflessione e autocritica. Era giusto quello che facevamo? Stavamo sbagliando? Non potevamo continuare così. Bisognava cambiare, stavamo diventando grandi. E così fu. Avevamo i motorini adesso. Cambiammo edicola.
giovedì 8 novembre 2012
Erotic Line
Serata tra amici di
parecchi anni fa, non ricordo se il pretesto dell’invito a cena era una partita
di calcio, un compleanno o chissà cos’altro, ma alla fine poco cambia. Le ore
si fanno piccole e il tasso alcolico alto. Parte un giro di zapping televisivo.
Tra televendite di pentole e materassi, film inguardabili e documentari
micidiali, sbucano le pubblicità delle hotline telefoniche. Risate sbronze,
commentacci, battute da caserma, ogni genere di sconcezza. Non siamo mai stati
una comitiva di seminaristi, lo ammetto. A un certo punto il padrone di casa
parte verso la cantina per l’ennesimo doveroso rifornimento. Commettendo un
errore terribile. Siamo a un piano alto di un palazzo in centro storico, senza
ascensore, e lui lascia lì il cellulare acceso, nelle mani di una manica di
criminali. Quando la porta si chiude dietro le sue spalle, non c’è neanche il
tempo di dire “Dai dai chiamiamo la maialona bionda” che qualcuno sta già
facendo il numero. Per una misteriosa
usanza del gruppo, fin dai tempi in cui da ragazzini era mio compito chiedere
all’edicolante le riviste porno, passando per il periodo romagnolo in cui andavamo
a chiacchierare con la variopinta fauna che batte sul lungomare di Rimini e io
ero stato eletto addetto ai dialoghi, per arrivare ad oggi, quando ci sono da
fare cazzate che richiedono chiacchiera sciolta e faccia da culo io non so
perché ma ci sono sempre in mezzo. No, forse lo so benissimo, ma ne parliamo
un’altra volta.
Fatto il numero e presa la linea, il delinquente passa in viva
voce e mi molla in mano il telefono. Mi risponde una lei che si presenta con
nome esotico e si descrive come una via di mezzo tra una pin-up e una battona
da tangenziale. Ricordo, random, labbra carnose quarta di seno perizoma. Pareggio
il conto delle spudorate falsità descrivendomi come una specie di Bronzo di
Riace in boxer, e ancora non ho capito cosa avesse il mio pubblico di imbecilli
da sghignazzare. Segue la domanda “ Dove sei ? “ alla quale non devo fare
grossi sforzi di fantasia dato che su un divano sono e “ Sul divano” rispondo. Lei
mi informa che è sul letto e, ci tiene a precisarmelo nel caso avessi dubbi,
con le gambe aperte e tutta bagnata. La domanda successiva è “ Ti stai
toccando? ” dove prima devo mascherare un convulso di riso per il commento di
un idiota seduto sulla poltrona di fronte che insinua che dovrei almeno
trovarlo e poi resistere alla tentazione di chiedergli se per caso l’ho
lasciato da sua sorella.
Ma il momento clou è quando lei mi chiede miagolante
“Cosa mi faresti se fossi lì con te? “ E io, cercando di Eastwoodizzarmi con la
voce più maschiovirilsensuale che riesco a fare, suscitando una standing ovation
di risate dei presenti le dico “Ti farei
un pigiamino di saliva, piccola”. E dentro di me elevo una silenziosa preghiera
al dio della celluloide supplicandolo di avermi fatto imbattere in una cinefila
e sognando che lei mi risponda ridendo “ Va bene Clint, allora sono tua, prendimi
maschione”. E invece non è così. Lei, maledetta, non ha visto Tightrope, non sa
chi sono Gunny Highway, l’Ispettore Callaghan e nemmeno il texano dagli occhi
di ghiaccio, mi prende sul serio e per ricambiare l’umido pigiamino inizia con molto
impegno e poca credibilità a prospettarmi un paradiso di prestazioni orali
sulle quali io mi ammoscio psicologicamente (non fraintendete, vi prego,
sull’altro versante non era successo nulla e nulla c’era da ammosciare) e
chiudo la conversazione.
Qualcuno lancia l’idea di salvare il numero in memoria
con un nome femminile e fare una soffiata alla fidanzata dell’amico di
controllargli il telefono, cosa che viene accolta da unanime approvazione. Ma
la bieca congiura viene sventata dal rientro del padrone di casa che dopo
passaggio in cucina a stappare arriva, guarda la tele coi numeri in
sovraimpressione a un tripudio di chiappe e tette, guarda me col suo telefono
in mano, fa due più due, capisce la tragedia appena accaduta e mi salta addosso
mentre io lancio il suo telefono a uno dei criminali. Nasce una colluttazione
sul divano, dove subisco dato che sto ridendo a crepapelle e non ho la forza di
difendermi. Il cellulare torna nelle mani del legittimo proprietario, che
verifica sconsolato la sonora decurtazione al suo credito. Come sconsolato sono
io adesso, che rifletto sul fatto che il numero probabilmente era un 144, il
credito era in lire e Sharon Samantha Cindy Jasmine o come cavolo si chiamava
forse adesso è nonna. E si mette un pigiama di flanella. Tempus fugit.
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