giovedì 21 giugno 2012
Per me si va nella città dolente
Ho aggiunto un nuovo piccolo capitolo nella mia umana e personalissima
enciclopedia delle cose da fare almeno una volta nella vita. Ed è la seguente.
Stravaccarsi sul divano, nella mattina di un giorno feriale, con un pacco di
biscotti (per chi fosse interessato, nella fattispecie erano frollini Coop ad
imitazione degli Abbracci del Mulino Bianco, ma va bene qualunque tipo di
biscotto mentre sono esclusi dolci al cucchiaio e gelati), e senza lasciarsi
attrarre troppo l’attenzione dalle gambe di Angie “Legs” Dickinson ma
concentrandosi su dialoghi e ambientazione, guardare una puntata di Pepper
Anderson Agente Speciale che affronta lo scottante tema del racket del gioco
d’azzardo. Tralasciare il momento in cui uno dei criminali minaccia un
poliziotto dicendo “ Scommettiamo che se resti qui passerai un guaio ? “ e il
poliziotto replica “Scommettiamo che se vai avanti avrai un bel buco nella
pancia ? “, no, dico, puntata sul gioco d’azzardo e doppia battuta con la
parola scommettiamo, io ti amo alla follia, sceneggiatore.
Invece, prestare spasmodica attenzione al momento clou, in cui Pepper
e il collega per risolvere il caso fanno visita in carcere ad un vecchio boss
mafioso malato di nome Tony o Vito Angelo, giusto un velato accenno di
stereotipia tra suono di mandolini e profumo di pizza, che prima di aiutarli
vuole sapere dal poliziotto, che gli ha svelato di avere lontane origini
italiane, se ricorda cosa c’è scritto sulla porta dell’inferno nella Divina
Commedia. E la cosa meravigliosa è che il tenente (o sergente?) lo sa. Lo sa. Non
tutto, ma conosce a memoria l’inizio del terzo canto. Il tenente o sergente Crowley,
del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, ha letto Dante Alighieri e lo sa. E
glielo recita. E io, con la bocca piena di biscotti e sputazzando briciole che
non so se raccoglierò mai dal tappeto, lo declamo con lui.
venerdì 8 giugno 2012
Cry Baby
Sto guidando in città sotto una pioggerella afosa e
leggera. In sottofondo Janis Joplin. Davvero azzeccato, per una giornata grigia
e triste tra una scossa di terremoto e l’altra. Il tergicristallo è lento e
ipnotico. Vedo il semaforo in distanza attraverso la patina opaca sul
parabrezza. Dovrei lavarli, ogni tanto. Verde, da troppo tempo temo. Giallo.
Maledetto. Non ce la faccio a passare, rallento. Rosso. Uno dei semafori più
lunghi di tutta Europa, credo. Mi adagio rassegnato in prima fila, paraurti
sulla striscia dello stop.
Iniziano a passare i pedoni. Scende dal marciapiedi
una mamma con un passeggino, dentro un bimbetto che avrà un paio d’anni, sotto
la calottina trasparente. Finisce la canzone. Il bambino piange, di un pianto
disperato anche se muto perché ho i finestrini alzati e non lo sento. E nel
momento esatto in cui è precisamente davanti al mio parabrezza, la mamma si
ferma e prova a mettergli il succhiotto in bocca. E dalle casse riparte Janis.
Cry Baby. E il bimbo sputa il succhiotto. Non lo vuole e riprende a urlare. La
madre sconfortata rinuncia e riparte. E per una manciata di secondi, ho nel mio
campo visivo la scena surreale di questo bimbo che piange a squarciagola con le
manine serrate sui braccioli del passeggino e Janis Joplin che lo incita a
piangere. “ … come on and cry, cry baby … “.
Viene verde, riparto prima che dietro cominci il
festival del clacson. In mezzo all’incrocio mi giro appena e con la coda
dell’occhio guardo il passeggino, dove il pupo sta ancora urlando. Non so se è
bagnato, se ha fame, se ha sete, se ha sonno, se lo infastidisce il rumore del
traffico, se vuole le coccole, se sono capricci, non so nulla di nulla, ma sorrido
tra me e me e penso “ … chi se ne frega piccolo, urla urla urla a squarciagola
e fatti sentire …”
Iscriviti a:
Post (Atom)